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PRINCIPI DI ICONOGRAFIA

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Trascrizione della conferenza del protopresbitero Costantino Stratigopoulos, nel corso delle lezioni di iconografia delle Sante Icone ortodosse, tenuta venerdì 4 novembre 2005.

 


 

Lezione I

Principi basilari di iconografia e analisi della teologia dell’icona della tuttasanta Madre di Dio.

 

 

All’inizio delle nostre lezioni dedicheremo una ventina di minuti – che chiameremo “teologia dell’icona” – perché la teologia dell’icona è molto essenziale per sapere come dipingere. Noi non descriviamo semplicemente degli eventi né stampiamo quel che ci passa per la mente. Ogni linea che facciamo, che tracciamo, è una teologia, perché nell’icona si dispiega tutta la teologia patristica.

La nostra Chiesa, grazie al profondo studio che possediamo degli avvenimenti descritti nell’opera della divina Economia, ha la Sacra Scrittura (che ci dice gli avvenimenti), ha i Padri (che spiegano gli stessi avvenimenti), ha l’innografia della nostro Chiesa (che, anch’essi spiegano gli avvenimenti: gli inni sono una spiegazione del Testo), e ha le icone: anche esse sono una spiegazione per mezzo dell’arte della pittura. Per fare tuttavia una spiegazione - come fanno i Padri della Chiesa per poter spiegare la Sacra Scrittura – è necessario che l’iconografo sia un uomo illuminato, che partecipi alla vita della Chiesa e che conosca la Scrittura.

E’ un insegnamento che si realizza con un linguaggio particolare, il linguaggio della Sacra Scrittura. L’iconografo deve così conoscere l’ermeneutica della Chiesa per quanto riguarda tutti gli avvenimenti, affinché possa descrivere nell’icona la teologia descritta dalla Scrittura e dai Padri della nostra Chiesa. Nessuno può dunque prendere e descrivere gli avvenimenti secondo la propria fantasia. Durante lo svolgimento delle nostre lezioni vedrete come ogni linea, ogni tratto, è immutabile, soprattutto perché molti particolari sono dogmatici. Non puoi mutare il dogma. Qui, su queste icone, noi tracciamo e descriviamo sempre il dogma. Nessuno può intervenire sul dogma. Lo vedrete durante il corso, e capirete che io ciò considero parte importante, perché se volete soltanto imparare la tecnica senza conoscere la profondità della teologia, non farete niente, ma sarete semplicemente sballottati. Vi chiederete: Come faccio? Faccio così o diversamente? Oppure diventerete imitatori e copiatori di icone, e niente altro.

Poiché oggi iniziamo la teologia per la prima volta, vi esporrò alcuni principi generali dell’icona – principi molto generali – semplicemente per ricordare, per avere soltanto un abbozzo nella vostra mente, e su questo abbozzo costruiremo le fondamenta che si chiamano “Teologia dell’icona”.

Il primo principio basilare dell’icona – un essenziale principio basilare – è che l’icona (qualsiasi icona), riproduce gli avvenimenti in due dimensioni, giammai in tre dimensioni. Con due dimensioni. Nella Chiesa primitiva, nei primi tempi, c’erano alcune sculture e bassorilievi, che man mano furono vietati: anche questo è teologia. Osservate come nell’ambiente della “Chiesa” romano-cattolica è rimasto l’uso della scultura. Da noi è stata del tutto vietata per motivi teologici molto profondi ed essenzialmente per quel che è l’opera del fedele che si pone innanzi all’icona. State attenti che quando parlo di due dimensioni, intendo altezza e larghezza: non ho la profondità.

Con una tecnica iconografica, senza dubbio, qualcuno può fare la profondità, può usare un cosiddetto punto di fuga, di rapporto, e – basandosi su tale punto – fare più grande ciò che ha davanti e più piccolo ciò che è dietro. L’icona può avere molti particolari, e descriverli, ed essere molti i temi davanti o dietro, ma è vietata quel bilanciamento tra primo e secondo piano, tra piccolo e grande. Guardate: qui abbiamo l’evento del Natale, un evento con molti particolari. A noi non interessa avere nell’icona la prospettiva; dobbiamo avere innanzitutto larghezza e altezza, giammai la profondità. Perché queste anomale misure, se la pittura razionale mi dice – molto giustamente – di avere anche la profondità per meglio vedere le icone?

Le tre dimensioni - per così dire, secondo il pensiero classico – della concezione euclidea della Geometria… e senza andare all’altra dimensione del tempo, ma alla classica descrizione delle dimensioni (altezza, larghezza e profondità), la geometria tridimensionale. E’ qualcosa di vero, ed è qualcosa di molto realistico, ma è auto-esistente: ovvero, ciò che ha altezza, larghezza e profondità è auto-esistente, non ha bisogno d’altro. E’ un oggetto: lo guardi di qua, di là; lo osservi attentamente ed è di fatto un oggetto. Se invece qualcuno si pone dinanzi questa icona e vede solo altezza e larghezza, non vede profondità, allora l’icona stessa lo invita a capire che manca di qualcosa. Attenti: perché è carente? Cosa manca? La profondità. Capisce allora che egli stesso deve occupare la profondità mancante: proprio la stessa persona che sta innanzi all’icona. L’icona non è un’opera da museo né un’opera d’arte: è un’opera che mi chiama a partecipare agli eventi e all’evento della preghiera.

Il fedele che si pone innanzi all’icona e avverte la mancanza di profondità, diviene egli stesso profondità. Anziché la profondità sia davanti, sono io la profondità (la terza dimensione), io che sto innanzi all’icona. Questo è un principio molto interessante, un principio essenziale che non può essere spiegato con il metro della ermeneutica razionale dei tanti studiosi occidentali dell’icona, che dicono: “E’ un’arte molto bella, però manca qualcosa, non ha la profondità”. Noi non facciamo però arte per l’arte; facciamo arte per la preghiera.

E’ un’arte anagogica ed ermeneutica del Testo, come vi ho detto, attuale arte anagogica. Vuol dire che Cristo parteciperà agli eventi e colmerà la mancante profondità con la sua Parusia innanzi all’icona. Per questo motivo noi non amiamo tenere le icone nei musei, soltanto perché qualcuno passi a vederle. Le icone sono fatte per le chiese, dove sta il fedele a pregare innanzi all’icona: e innanzi all’icona può farsi santo.

Molte volte diciamo che esistono icone sante o che una icona stilla unguento. Come è diventata santa una icona? Per due motivi.

Il primo motivo è che l’iconografo potrebbe essere stato santo e aver santificato tutta l’icona. Il secondo motivo è che innanzi all’icona molti uomini potrebbero essersi santificati: pianti, lacrime, conversioni, e l’icona potrebbe essere diventata più santa. Queste sono le icone santificate. Il legno di per sé non ha alcuna proprietà, però gli uomini danno caratteristiche santificatrici ad alcune cose. Abbiamo, per esempio, l’ombra di Pietro; ha operato guarigioni la veste di Cristo; hanno operato prodigi il mantello di sant’Elia o le catene di san Pietro. Cosa erano? Erano oggetti santificati dall’uomo santificato. Da solo, un oggetto non opera alcunché. Questo dunque è il primo basilare principio per cui, vietata la tridimensionalità, la terza dimensione viene assegnata alla persona che partecipa all’evento.

Un secondo principio in modo eccezionale si manifesta in questa icona del Natale (tra poco ne farò cenno; poiché ha molti particolari, dirò qualcosa e la analizzerò più a fondo in un altro momento). E’ l’icona del Natale. Guardate: qui è descritto tutto. C’è la Tuttasanta, Cristo, gli angeli che scendono dal cielo, qualche pastore che osserva gli eventi, Giuseppe che medita se deve o non deve tenere con sé la Tuttasanta, i Magi che arrivano: in una stessa icona, diversi episodi avvenuti in tempi diversi. Noi non facciamo “fumetti”: sono qui concentrati tutti gli episodi diacronici. L’icona ha un altro principio: l’abolizione del tempo, dello svolgersi del tempo. Nella Chiesa il tempo è abolito e tutto diventa eternità.

Come si dice durante la Grande Settimana? “Oggi è appeso al legno”. E a Natale? “Oggi nasce dalla Vergine”. Come si intende “Oggi”? Abolizione, superamento del tempo: si ritiene che tutto avviene oggi, e tutto insieme. Ci sono due icone che … Citerò soltanto una, per farvi capire questo fatto. Si tratta dell’icona dell’Ascensione di Cristo, quaranta giorni dopo la sua Risurrezione. Ecco, qui avanti c’è la Tuttasanta e intorno gli apostoli. Questo era l’evento. Discesero gli angeli. Con gli angeli salì al cielo. Molto bene. Questa icona tuttavia è strana. In primo piano c’è l’apostolo Paolo, ma quando avvenne l’ascensione l’apostolo Paolo non era neppure cristiano. Leggete il testo degli Atti degli apostoli, dove è narrata la storia dell’Ascensione: è nel primo capitolo degli Atti. L’apostolo Paolo contemplò la Luce a Damasco e si convertì: è nel capitolo nono. Questa icona è dunque anacronistica? L’apostolo Paolo non prese parte all’Ascensione, eppure vi ebbe parte ugualmente. Quando si converte, ricupera il tempo trascorso. E’ presente a quel momento: il convertito guadagna il tempo perduto. Ecco; questo vuol dire: abolizione del tempo. Abbiamo anche altre icone simili, che descrivono avvenimenti che trascendono il tempo. E’ un principio molto interessante. Non diciamo che Paolo non era presente: “c’era”, appena si convertì.

Un altro principio basilare è che nelle icone non abbiamo ombre. Guardate, su questo terreno non ci sono ombre. Nessuna ombra. Perché non ci sono ombre? Dov’è c’è una fonte di luce c’è ombra! Osservate: entra una fonte di luce e lascia un’ombra sul soffitto, le ombra della strada, del lampadario. C’è una fonte di luce, lì da dove entra la luce. Ma se la luce è dappertutto, se la luce entra da tutte le parti, viene da ogni dove, allora non è possibile che ci sia ombra, sparisce l’ombra. Tutto è luce.

Nell’icona rappresentiamo tutto come luce: ci sono, invero, alcune ombreggiature delle vesti, ma nell’icona tutto è luce. Non facciamo ombre su ombre… significherebbe abolire la nozione di Regno dei cieli. La luce in cui sono immerse le icone, specialmente le icone su legno, è d’oro. Affreschiamo questa luce sui muri, perché l’oro non prende facilmente: usiamo altri colori, ma nella pittura su legno non c’è ombra e la luce arriva da ogni dove. Questa luce è la luce del Regno di Dio. E’ un altro sostanziale principio, che riguarda luce e ombre, e come si rappresenta nelle icone.

Un altro basilare principio – accenno per necessità questi principi, perché possiate avere qualcosa all’inizio delle lezioni sulla teologia dell’icone – è che i santi (qualsiasi santo) rappresentati nelle icone si vedono in viso. In viso non sempre significa – come qui il Cristo – guardare in faccia.

Vedete che gli apostoli in basso sono girati di fianco, vedete che ci sono immagini di fianco, ma di tutti si vedono gli occhi; un po’ girati o di fronte, ma sempre si vede il viso: non si tralascia mai il volto, perché l’idea è che noi vedremo Dio “faccia a faccia”.

Volto - in greco Prosopon - è pros opa, verso gli occhi. Verso gli occhi. Opa è gli occhi. “Persona” è “vista del volto”. I santi vedono Dio “faccia a faccia”, ovviamente secondo le loro capacità. Vedremo questa caratteristica anche in altre icone, come in alcune dell’apostolo Paolo, anche se c’è qualche eccezione. Oserei dire alcune eccezioni per quanto riguarda alcuni elementi delle icone.

……

Non so perché. Non posso capire. La teologia dell’icona richiede sempre la frontalità, la raffigurazione di entrambi gli occhi. “Verso gli occhi”, che si vedano gli occhi. Vedremo come si raffigurano in seguito; ora vi parlo molto in generale dei principi teologici dell’icona, come noi descriveremo in seguito tutte le icone – poco a poco – in tutte queste lezioni. Sino a marzo, durante una prima ventina di minuti dedicati alla “Teologia dell’icona”, potrete vedere molti particolari una teologia molto profonda, che vi spingerà a studiare le materie teologiche, se davvero volere dipingere icone correttamente.

Vi ho detto che lo studio della Scrittura, dei Padri della Chiesa e dell’Innologia, formano la Teologia dell’icona. Quando ascoltate un inno, esso è teologia; medita su un evento ed esprime teologia dell’evento. Il tropario del giorno per un santo non è una semplice descrizione della sua vita: è teologia della sua vita e, come abbiamo detto, è una teologia espressa con il linguaggio della Scrittura e della pittura.

Osserviamo, solo per qualche istante, l’icona del Natale di Cristo. Qualche particolare. Badate che l’icona ci è conosciutissima. Guardiamo qualche evento centrale dell’icona. In mezzo c’è la grotta in cui è nato Cristo: il fondo è buio. Vi rammento che nell’iconografia non rappresentiamo mai il male (per esempio il diavolo), giammai. Ma qui il buio è una piccola eccezione, per rammentare quel che dice il profeta Isaia, che Cristo nasce “nella regione e nell’ombra della morte”. Ma di solito non si rappresenta il buio. Ci sono molte icone con il buio, perché alcuni iconografi non conoscono la teologia e quel che fanno: per esempio, santa Marina con un diavoletto. Ma noi non raffiguriamo mai il male. E’ un madornale errore, perché noi raffiguriamo quel che ha creato Dio, l’Ente e non il Non-Ente. Il diavolo è Non-Ente. Attenzione: “Non-Ente” non vuol dire che non esiste. Una cosa è esistere, altro è essere. C’è grande differenza. Non dico: “il diavolo non esiste”; ho detto che Il diavolo è Non-Ente. Una sostanziale differenza, se conoscete la teologia dei Padri della Chiesa.

Non-Ente vuol dire che Dio non ha creato simili cose. Il diavolo era un angelo. Dio ha creato l’ipostasi dell’angelo, non ha creato l’ipostasi del diavolo: Dio è demiurgo solo del bene \ bello. Non crea il male. Il diavolo ha liberamente scelto di diventare Non-Ente: esistente ma non-essente. Attenzione: in quanto creatura, non esiste diavolo. Per natura era un angelo, e rimane un angelo che però ha stravolto la sua natura angelica. Questo vuol dire Non-Ente. Noi dunque non rappresentiamo il Non-Ente o scene di paura. Mai.

Nell’iconografia è fondamentale il fatto che noi non raffiguriamo mai persone che non abbiamo visto. Tutti i santi si sono manifestati. Si sono rivelati. Nell’icona della Santa Trinità noi non raffiguriamo il Padre, perché non abbiamo visto il Padre. Abbiamo visto il Figlio, e raffiguriamo il Figlio. Il Santo Spirito lo abbiamo visto come colomba o luce, e lo raffiguriamo. Il Padre non lo abbiamo visto e non lo raffiguriamo. Non esista una Santa Trinità in cui si veda il Padre con una barba bianca: è una icona errata, ed è una icona senza natura teologica, poiché il Padre non si è visto mai.

Abbiamo qui il buio, viene rappresentato il buio e l’ombra della morte, di cui parla il profeta Isaia. Nella grotta ci sono due animali: un asinello e un bue. Due animali.

Perché non parliamo di altri animali? Come rappresentano le cartoline natalizie, per essere graziose, che mettono pecorelle… possiamo mettere anche un dinosauro, che piace ai bambini! La Sacra Scrittura si ferma a quei due animali, perché di quei due animali riferiscono il profeta Isaia e il profeta Abacuc, che profeticamente riportano l’evento del Natale. I due profeti si riferiscono ai due animali tra i quali è nato Cristo.

“Tra due viventi ti farai conoscere”, dice il profeta Abacuc, e Isaia indica gli animali dicendo: “Il bue riconosce chi l’ha fatto, e l’asino il suo padrone, ma Israele non l’ha conosciuto”. Vedi: parla di bue e di asino. Ora, cosa rappresentano il bue e l’asino? Secondo l’ermeneutica patristica della nostra Chiesa, essi sono innanzi tutto gli esseri irrazionali, l’irrazionalità umana.

Ci sono due tipi di esseri irrazionali. I cristiani venuti dal Giudaismo e quelli venuti dal Paganesimo. Chi ha adorato Cristo? Gli Ebrei, che avevano conosciuto Cristo un po’ prima, grazie alla rivelazione fatta loro, e quindi i cristiani venuti dal Paganesimo. Sono due categorie. Quelli dal Paganesimo e quelli dal Giudaismo. Allo stesso modo gli esseri irrazionali sono due. Gli Ebrei hanno conosciuto Cristo, ma l’hanno crocifisso; gli altri non conoscevano per niente il Cristo. Erano sempre due animali e restano due animali. Niente altro. Chi s’azzarda a fare qualcosa di diverso, cambia la Sacra Scrittura. Qualche particolare secondario può essere cambiato, possibilmente con parsimonia: qualche colore delle vesti, ma niente altro. Mai gli elementi centrali, come il Cristo: al suo posto, che si trova sul suo lettuccio. Questo particolare lo farete così, e soltanto così. Niente altro: né altro lettuccio, né altre vesti.

Due sono gli elementi insieme teologici e dogmatici. Cristo è vestito così perché in effetti viene per essere crocifisso e morire per noi. Questa festa del Natale di Cristo non è una festa indipendente. Questa festa del Natale di Cristo ha senso se ciò che avviene ora si collega a un evento soteriologico per l’umanità. Grande cosa, se Dio si fa uomo: ma ciò non basta alla salvezza. E’ necessario che sia vinto l’ade. Per questo motivo, per noi ortodossi, la Pasqua è la Festa delle feste. In Occidente è il Natale: lì festeggiano il Natale; la Pasqua è una festa un po’ sotto tono. Noi dunque, questo grande evento della Nascita di Cristo lo celebriamo come subordinato alla Risurrezione, l’opera di salvezza dell’uomo. Così, questo bimbo che ora nasce, si appresta a patire ed essere crocifisso per noi. La sorte di morte che è su di lui, è rappresentata da queste bende funebri. Sono le bende nelle quali è stato avvolto Cristo all’atto della sua deposizione dalla croce, quando è stato portato al sepolcro. Sono le bende che le mirofore hanno trovate ripiegate nel sepolcro vuoto. E’ questo il bimbo che morirà per noi. Non puoi perciò – per motivi dogmatici – rivestire Cristo con altre vesti, ma con le vesti con cui egli stesso si appresta a morire e risorgere… Ugualmente, il giaciglio su cui è deposto è una tomba. E’ la tomba in cui Cristo è disceso per risorgere. Non è un lettino qualsiasi. Quando vediamo qualche altra icona e diciamo: “Che bella icona!”, dobbiamo perciò riconoscere se è del tutto errata.

Questa teologia dell’icona è assolutamente scomparsa negli ambienti Franco-cattolici; i protestanti non hanno icone, hanno soltanto qualche figura nelle vetrate, perché anch’essi sentono il bisogno di rappresentare qualcosa.[1]

Guarda qui. E’ la culla, vedete come subito entriamo nel profondo degli eventi, in una teologia profondo. Analizzerò questa icona un’altra volta.

Concludiamo con un evento, che tratteremo ugualmente con la prossima icona, che analizzeremo dopo il Natale, quella dell’Annunciazione. Nell’icona della Tuttasanta. Quando si raffigura la Tuttasanta, essa deve avere sempre – proprio sempre – sulla fonte e sulle spalle – qui e qui – tre stelle. Vedete tre stelline sulla fronte e sulle spalle? Queste stelle hanno otto punte. E’ un particolare dogmatico e nessuno può modificarlo. Sia le otto punte che le tre stelle. Le tre stelle simbolizzano che la Tuttasanta, da un punto di vista dogmatico, è sempre vergine. Semprevergine significa vergine prima del parto, nel parto e dopo il parto. Prima, durante e dopo. Così si definisce la sempreverginità. Come, sempre? E’ il prima, l’adesso e il dopo. Il Semprevergine è rappresentato dalle tre stelle, ed è necessario esprimerlo, per esprimere che non si tratta di una donna qualsiasi, ma che è la Donna che in ogni tempo è Semprevergine. Ugualmente, le stelle sono a otto punte, hanno otto punte. Non è un caso, perché nessuno può fare una stellina con cinque o sei punte o a tre punte: con la Tuttasanta s’inaugura infatti l’opera sacramentale dell’Ottavo giorno della creazione. Dio ha fatto il mondo in sei giorni e così diede compimento alla sua opera. La Sacra Scrittura – prendete il primo capitolo della Genesi – dice che “Fu mattino e fu sera; un giorno. Fu mattino e fu sera; secondo giorno. Fu mattino e fu sera; terzo giorno…” e conclude i giorni. Infine, plasmato l’uomo, dice: “Fu mattino e fu sera; sesto giorno”. E’ fu portata a termine la creazione. Il settimo giorno, lo sapete bene, è descritto nel secondo capitolo della Genesi, dove dice che Dio “riposò dalle sue opere” nel giorno settimo.

“Riposò” nel settimo giorno. Se investigate in tutta la Scrittura, non troverete che il settimo giorno sia mai finito. Non dice: “Fu mattino e fu sera; settimo giorno”. Il settimo giorno resta aperto. E’ il giorno in cui noi viviamo oggi. Noi ci troviamo nel settimo giorno della creazione: perciò questo giorno è rimasto aperto. Nel settimo giorno però l’uomo non è stato capace di essere come Dio l’aveva preparato a diventare.

Tuttavia Dio, perdonando l’incapacità umana, inaugura un Ottavo giorno, ottavo giorno che è opera della divina Economia nella quale ha avuto parte la Tuttasanta. Noi che ora viviamo qui, in questo mondo, viviamo nel settimo giorno della creazione, come in un mondo infelice e caduco; se tuttavia viviamo nella Chiesa, contemporaneamente viviamo nell’Ottavo giorno della creazione.

Dopo la seconda Venuta, avremo solo l’Ottavo giorno della creazione. Chi ha fiducia nel futuro, legga questi particolari. Sam Massimo il Confessore, nel 6°\7° secolo, descrive a fondo il mistero dell’Ottavo giorno. Ecco, qui abbiamo una teologia dipinta. Non diciamo quindi molte parole. Qui, vedete, ci sono tremendi misteri. E’ più difficile leggerli in Massimo il Confessore. Massimo parla perfettamente: devi conoscere Massimo per capire questo elemento.

Vi ho introdotto un po’ all’interno e nel segreto della sacramentale teologia dell’icona, che tratteremo tutto l’anno in tutti i modi, perché anche voi possiate penetrare in questa profonda concezione che l’Ortodossia ha degli iconografi. Senza teologia non potreste fare alcunché.

L’ortodosso deve essere teologo, anche se non è una questione di titolo di studio. E’ questione d’una personale partecipazione agli eventi e, naturalmente, d’una personale purificazione e illuminazione. Non è questione di tecnica. Un tempo, per dipingere una icona, l’iconografo digiunava per molti giorni, pregava. Suppliche e comunione continua. Se qui volete imparare qualcosa su questo argomento, oppure quando vi apprestate a dipingere qualsiasi icona, fatelo con digiuno e preghiera. Pregate l’evento, per partecipare all’evento e realizzare uno scambio continuo. Quando dipingi l’icona d’un santo, conosci il santo e si realizza uno scambio. Leggete la Vita del santo. Imparate i tropari del santo. Questa non è una tecnica. L’iconografia ha la potenza di dare un continuo miglioramento. Miglioramento non significa che posso fare nuovi tipi di iconografia; significa che posso descrivere sempre più profondamente la teologia. Nella Chiesa nulla è statico o resta sclerotizzato. Il miglioramento avviene tramite uomini che sono illuminati, e la Grazia del Santo Spirito dona loro un miglioramento. Non vuol dire che ora mi viene l’idea di fare io una nuova “scuola” di iconografia. Vedete, se studiate il progresso nel tempo dell’iconografia, noterete un miglioramento: lo noterete anche senza capire la differenza. Noterete che la Scuola serba d’iconografia, per esempio, proviene dalle due fondamentali Scuole di Panselinos e di Theofanis. Si fermano lì, ma basano un’altra più profonda varietà, senza mutare la teologia, l’immagine, le proporzioni; è un profondo miglioramento delle icone posteriori, perché il Santo Spirito dona sempre un miglioramento agli uomini. Non aggiungo altro, per non stancarvi ancora.

 

 

Domanda: Chi è il Pagano e chi è il Giudeo? Con quale animale sono rispettivamente raffigurati?

 

Risposta: Con il bue i cristiani venuti dal Giudaismo, e i Padri dicono che i cristiani venuti dal Paganesimo vengono raffigurati con l’asino… il più irrazionale dei due. Ma non è così importante.

 

 

 


 

[1]. Non è chiara la distinzione – all’interno della cristianità occidentale – tra “cattolici” (papisti?) e protestanti.

 
 

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